GERUSALEMME
- L'operazione Last Chance non è riuscita: Klaas Carl Faber,
l'SS che ammazzava gli ebrei olandesi e forse internò Anna
Frank, è riuscito a fuggire per sempre. Sconsolato Efraim
Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal, l'ultimo cacciatore
di nazisti che teneva Faber al posto numero 3 della lista:
«Pensare che, un anno e mezzo fa, avevo scritto una lettera
anche ad Angela Merkel...». Sono giorni di feste a Gerusalemme,
ma Zuroff riapre subito il suo computer in Mendele Street:
«Ecco qui... Avevo lanciato l'operazione Ultima Possibilità,
per prendere i criminali ancora in giro: chiedevo alla Cancelliera
di risolvere proprio il caso Faber, un suo cittadino. Ebbi
risposte solo formali. Non che mi stupisca: negli anni 50,
i servizi tedeschi sapevano dove stava Eichmann ben prima
che il Mossad lo catturasse. Ma il fatto che questi assassini
siano stati protetti per tanti decenni, è una farsa. Si fa
passare un messaggio: può farla franca perfino chi fa sterminio
di massa».
Bastardi senza gloria, ma con molta boria. Il novantenne Faber s'è spento serenamente
giovedì, in una clinica bavarese dov'era ricoverato per blocco
renale, assistito dall'affetto della moglie Jacoba. Se n'è
andato senza una parola di pentimento e come ha vissuto i
suoi ultimi sessant'anni: libero e indisturbato. Non che
lo meritasse: olandese, figlio d'un panettiere collaborazionista
ucciso dai partigiani, fratello d'un nazista spedito alla
forca, Faber s'era arruolato volontario nelle SS quando la
Germania aveva invaso l'Olanda; quindi l'avevano promosso
spia dell'unità speciale Abete d'Argento, incaricata di colpire
la Resistenza; infine era passato a smistare ebrei nel campo
di Westerbork, quello di Anna Frank. Riconosciuto colpevole
d'almeno 22 omicidi, condannato a morte da un tribunale olandese
nel '47 («un SS dei peggiori», motivarono i giudici), Faber
cominciò subito la sua fuga dalle responsabilità: nel '48,
con la pena commutata in ergastolo; nel '52, evadendo con
altri sei nazi dal carcere di Breda e rifugiandosi in poche ore in Germania, aiutato dai neofascisti.
Per quanto incredibile, da quel momento nessuno l'ha più riacciuffato. L'ex nazista
s'è potuto rifare casa e famiglia nella tranquillità d'Ingolstadt,
la cittadina dove Shelley ambientava gli esperimenti di Frankenstein,
trovando pure lavoro nella grande fabbrica che laggiù occupa
tutti: l'Audi. Per decenni, l'Olanda ha chiesto l'estradizione,
spiccato mandati d'arresto, elevato proteste, presentato
prove. Tutto inutile. Israele ha raccolto petizioni, fatto
pressioni, offerto informazioni: ancora più inutile. Per
un paradosso, e fino alla morte, Faber è stato considerato
dai tedeschi un cittadino tedesco a tutti gli effetti, perciò
non estradabile, nemmeno nell'Ue. E questo nonostante il
passaporto gli fosse stato concesso solo nel 1943 e per una
direttiva di Hitler, quella che garantiva l'automatica cittadinanza
a tutti gli stranieri che collaboravano col Terzo Reich.
Nel dopoguerra, il caso Faber è stato più volte riesaminato
con puntiglio, ma un processo a Düsseldorf (1957) stabilì
l'insufficienza di prove e il non luogo a procedere, un altro a Monaco di Baviera (2006) riconobbe sì
una responsabilità nella morte di tanti ebrei, ma solo per
omicidio colposo: un reato ormai prescritto.
Ultima chance: quanti Faber ci sono in giro, ancora? Qualcuno:
il kapò danese Soeren Kam, pure lui diventato cittadino
tedesco, libero in Baviera; il croato Milivoj Asner, che
l'Austria non consegna perché malato, eppure paparazzato
in buona salute agli ultimi Europei di calcio... «Casi
che dimostrano come si faccia pochissimo per punirli»,
commenta Nadav Eyal, editorialista della tv israeliana:
«Troppe ombre, da troppi anni. Chi sa come fuggì Mengele?
E chi sa se c'era davvero, e come funzionava, la rete di
protezione di certa Chiesa cattolica?». Lo scorso gennaio,
per la verità, c'era stato un giudice a Berlino. Che a
sorpresa aveva finalmente riaperto il caso Faber. E aveva
deciso, okay, che bisognava fargli scontare l'ergastolo:
«Se per lui non c'è ancora un posto all'inferno - aveva
detto il magistrato -, glielo troveremo in una cella».
Il diavolo ha fatto prima. corriere.it
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