Si gelava a Novi Sad, in Voivodina, quel 23 gennaio del 1942, quando centinaia
di pattuglie della Magyar Kiralyi Csendorség, la Gendarmeria
ungherese collaborazionista della Wehrmacht tedesca, avviarono
la gigantesca caccia all’uomo.
Era territorio dei partigiani di Tito, quello: quando la
Germania aveva occupato la Jugoslavia, l’Ungheria del filonazista
Miklos Horthy si era annessa la regione incontrando però
una forte resistenza. Di qui la rappresaglia.
Una delle pattuglie che entrarono a Novi Sad era comandata
da Sandor Kepiro, ufficiale della Csendorség. Era tra quelli
che catturarono e trucidarono 1246 persone: uomini, donne,
vecchi, bambini. Serbi, ebrei, partigiani: un pogrom etnico
e politico.
Sulla crosta del fiume Tisza, ghiacciato, vennero praticati
dei buchi: le vittime furono spinte a gettarsi in acqua,
quindi tenute giù grazie a lunghe pertiche. L’intera comunità
ebraica, circa settecento persone, venne sterminata quel
giorno.
Giudicati e condannati già nel 1946, ai macellai di Novi Sad erano stati inflitti
dieci anni di reclusione. Ma Kepiro era riuscito
a fuggire in Argentina. Efraim Zuroff, direttore
del Simon Wiesenthal Center a Gerusalemme,
lo smascherò nel 2006, dieci anni dopo che
il boia aveva fatto ritorno in Ungheria. A
luglio di quest’anno, l’ultimo atto: il processo,
«un circo basato su menzogne» secondo lo stesso
Kepiro, lo assolve per insufficienza di prove;
del resto, per l’ordinamento giuridico ungherese,
nessuno può essere giudicato due volte per
lo stesso reato.
Il criminale
ungherese è morto, libero, lo scorso 3 settembre.
Domenica i funerali: «È stato un vero patriota,
fedele alla nazione e all’onore» hanno affermato
le centinaia di nostalgici filonazisti presenti
alla cerimonia, come alcuni leader di Jobbik,
gruppuscolo razzista e antisemita, reduci
della Gendarmeria ed esponenti della Magyar
Gàrda, la milizia Jobbik che agisce da tempo
contro rom, minoranze e avversari politici
sotto l’occhio benevolo della polizia.
E’ l’Ungheria di Viktor Orban e di Fidesz,
il partito nazionalista e parafascista al
governo in un paese dell’Ue che ha recentemente
varato una carta costituzionale apertamente
xenofoba e integralista.
Forse
a Strasburgo – ultimamente molto distratta
dai rischi di default finanziario – andrebbe
organizzata la visione del film di Miklos
Jancsò Hidek napok (I giorni freddi), sulla
strage di Novi Sad. Per ricordare il passato
e affrontare con un piglio più credibile ed
autorevole il presente.
Perché in Ungheria e nel Vecchio Continente
non tornino mai più giorni freddi come quelli.
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